I MILLE PERCHÉ - LA PREVENZIONE - LA PREVENZIONE SECONDARIA

PERCHÉ È IMPORTANTE EFFETTUARE IL PAP TEST PER LA DIAGNOSI DEL CARCINOMA DELLA CERVICE UTERINA?

Applicando il concetto di prevenzione secondaria alla patologia tumorale, questa può essere definita come il riconoscimento di una patologia asintomatica, priva cioè di evidenti sintomi clinici, ma in cui è già in atto un processo patologico tumorale o sono presenti lesioni che preludono alla trasformazione verso la neoplasia.
Uno degli esempi più significativi di applicazione della prevenzione secondaria dei tumori è dato dall'utilizzo dello striscio vaginale o Pap test nella prevenzione del tumore della cervice uterina.
In nessun'altra neoplasia è stato trovato un sistema altrettanto efficace per migliorare in maniera così radicale la percentuale di sopravvivenza.
I tumori dell'apparato genitale presentano una elevata incidenza nell'ambito della popolazione femminile essendo al secondo posto, preceduti soltanto dal tumore del seno.
Circa la metà di questi tumori origina da una particolare regione anatomica dell'utero detta collo o cervice uterina e ciò rende ragione del notevole impegno con cui da decenni i ricercatori hanno cercato soluzioni valide per meglio prevenire o stroncare all'insorgenza una neoplasia insorta in questa sede.
Questo tumore colpisce preferenzialmente donne tra i 40 e 55 anni e generalmente con più figli, rappresentando un vero dramma in una età di particolare impegno sia nella famiglia sia nel lavoro. Questo dato ci spiega inoltre l'estrema importanza sociale della malattia.
In rapporto all'elevata incidenza si è cercato di individuare i possibili fattori di rischio in modo da selezionare e controllare gruppi di donne che possano presentare una maggiore probabilità di contrarre questa malattia.
Sembra ad esempio un fatto accertato che il tumore è tanto più frequente quanto più precoce ed intensa è stata l'attività sessuale. Il ruolo che il rapporto sessuale svolgerebbe sarebbe legato sia al continuo traumatismo sul collo dell'utero provocato dal rapporto sessuale stesso, favorito anche dalla relativa minor resistenza delle cellule di questa zona in età giovanile (prima dei 20 anni), sia all'applicazione diretta nel collo uterino di probabili agenti cancerogeni.
Fra questi vengono chiamati in causa fattori dovuti alla scarsa igiene degli organi genitali maschili ed eventuali virus trasmessi con il rapporto sessuale quali l'Herpes genitalis e i Papovavirus. Questi ultimi potrebbero rappresentare soltanto dei cofattori, vale a dire sostanze che potenziano l'azione cancerogena degli altri elementi chiamati in causa nel determinismo di questa neoplasia, senza peraltro essere in grado di indurla da soli.
Queste ipotesi spiegano chiaramente perché venga data notevole importanza al fattore di rischio costituito dalla molteplicità dei partners sessuali.
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¦    FATTORI DI RISCHIO PER IL CARCINOMA DELLA CERVICE UTERINA   ¦
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¦ ETA'            ¦  Aumento di frequenza dopo i 30 anni;        ¦
¦                 ¦  pico massimo tra i 40 e i 50 anni.          ¦
¦                 ¦                                              ¦
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¦ GRAVIDANZA      ¦  La frequenza aumenta con il numero delle    ¦
¦                 ¦  gravidanze.                                 ¦
¦                 ¦                                              ¦
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¦ VITA SESSUALE   ¦  Una vita sessuale precoce aumenta le proba- ¦
¦                 ¦  bilità di ammalarsi di carcinoma della cer- ¦
¦                 ¦  vice uterina.                               ¦
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¦ LESIONI         ¦  Anomalie delle cellule o dei tessuti (di-   ¦
¦ PRENEOPLASICHE  ¦  splasie) precedono l'insorgenza del tumore. ¦
¦                 ¦                                              ¦
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¦ INFEZIONI       ¦  Alcuni tipi di virus (Herpes e Papova) sono ¦
¦ VIRALI          ¦  considerati responsabili dellinsorgenza del ¦
¦                 ¦  tumore cervicale.                           ¦
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LA POSSIBILITA' DI UN INTERVENTO PRECOCE IN RAGIONE DELLE PARTICOLARI CARATTERISTICHE BIOLOGICHE DEL CARCINOMA CERVICALE
Per quanto le cose precedentemente dette possano far apparire drammatico il problema, la storia naturale del tumore ci permette al contrario di sdrammatizzare il quadro. Infatti il tumore della cervice uterina presenta uno sviluppo assai lento, per cui prima che si manifesti come lesione maligna necessita di un lungo periodo durante il quale presenta caratteristiche di assoluta benignità. Queste caratteristiche mutano gradualmente, lentamente nel tempo, passando da alterazioni minime assolutamente innocenti ad aspetti sempre più indicativi di trasformazione maligna fino ad arrivare al quadro estremo di tumore invasivo. Possiamo dire che cellule anormali possono rimanere quiescienti allo stato di crescita pre-invasiva anche per 8-10 anni. Infatti non tutte le cellule sottoposte allo stimolo carcinogenetico sopravvivono: molte di esse sono eliminate, sia perché vanno incontro a morte spontanea, sia perché soppresse dai meccanismi di difesa dell'ospite. Così si osserva che, mentre il picco di incidenza del tumore del collo dell'utero riguarda donne tra i 40 ed i 55 anni, il picco di incidenza delle lesioni pre-invasive si trova in donne molto più giovani. È appunto in questo periodo di tempo che è più importante un assiduo controllo per evidenziare quelle lesioni minime ma significative che possono essere, in questo stadio precoce, facilmente eliminate, evitando così la comparsa di una patologia più grave. È molto importante sottolineare che se riusciamo ad evidenziare queste lesioni nei primissimi stadi, quando cioè sono ancora completamente «benigne», possiamo attuare delle terapie estremamente semplici, senza ricorrere per esempio al ricovero ospedaliero o all'intervento chirurgico.
Oggi una diagnosi precoce è attuabile grazie alla possibilità di effettuare ambulatorialmente un esame semplice, rapido ed indolore conosciuto come Pap test.
Questa metodica introdotta da Papanicolaou negli anni 40 ha veramente rivoluzionato le possibilità diagnostiche del tumore del collo dell'utero. Essa infatti permette di esaminare un grande numero di donne, di attuare cioè uno «screening» di massa, senza sottoporle a difficili o dolorosi accertamenti in ambiente ospedaliero.
Grazie al Pap test è stato possibile ridurre in modo molto significativo la mortalità per questo tipo di tumore; infatti evidenziando sempre più precocemente lesioni iniziali benigne è possibile attuare delle terapie radicali che consentono la completa guarigione.
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     ¦      DIAGNOSI TARDIVA MEDIANTE PAP TEST      ¦
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     ¦  Pazienti decedute = 70%                     ¦
     ¦                                              ¦
     ¦  Pazienti vive = 30%                         ¦
     ¦                                              ¦
     ¦  Sopravvivenza a 5 anni quando la malattia è ¦
     ¦  diagnosticata in fase tardiva.              ¦
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CHE COSA È IL PAP-TEST
Si tratta di un esame basato sullo studio delle cellule che normalmente si sfaldano dall'utero, le quali possono essere prelevate mediante una piccola spatola posta all'interno della vagina. Le cellule vengono poi strisciate su un vetrino ed osservate al microscopio: si possono in tal modo evidenziare anomalie cellulari o vere e proprie cellule tumorali.
Questo esame deve essere ripetuto annualmente per cogliere in tempo utile ogni eventuale variazione della composizione cellulare in evoluzione verso la trasformazione maligna e poter così intervenire con successo mediante adeguata terapia.
È consigliabile sottoporsi al test dai venti anni di età, ma tale limite deve essere anticipato per le donne che hanno avuto rapporti sessuali precoci; l'esame è eseguibile anche nelle ragazze vergini.
Il momento migliore per effettuare il Pap test è nel periodo tra una mestruazione e la successiva e nelle 48 ore precedenti l'esame è opportuno sospendere i rapporti sessuali, non eseguire terapie locali o semplici lavande vaginali.
Da sottolineare infine il fatto che durante e dopo l'esame la donna non avverte alcun dolore o disturbo.
In conclusione ci preme ancora una volta sottolineare come quantunque il progresso medico ci abbia fornito un mezzo straordinariamente efficace per prevenire un tumore così importante nella popolazione femminile, è necessario lavorare ancora molto per creare la coscienza che il cancro dell'utero, se diagnosticato nelle fasi iniziali, è una malattia guaribile completamente.
A questo scopo è utile che anche la donna si liberi definitivamente di vecchi ed erronei preconcetti sulla malattia cancro e si sforzi di recepire l'importanza dei consigli che il medico le suggerisce attraverso una continua e capillare educazione sanitaria.
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     ¦      DIAGNOSI PRECOCE MEDIANTE PAP TEST      ¦
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     ¦  Pazienti vive = 98%                         ¦
     ¦                                              ¦
     ¦  Pazienti decedute = 2%                      ¦
     ¦                                              ¦
     ¦  Sopravvivenza a 5 anni quando la malattia è ¦
     ¦  diagnosticata precocemente con il Pap-test. ¦
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Tecnica di prelievo per il Pap-test

LA PREVENZIONE DEL CANCRO DEL CORPO UTERINO

L'utero è interessato anche da un tumore che origina più internamente rispetto al carcinoma cervicale ed è per questa ragione meno accessibile ai comuni mezzi diagnostici: si tratta del cancro del corpo uterino, chiamato anche carcinoma dell'endometrio, dato che sorge dalle ghiandole della mucosa uterina (endometrio).

INCIDENZA E FATTORI DI RISCHIO
Nell'ultimo decennio questo tumore ha raggiunto una frequenza pari a quella riscontrata per il carcinoma cervicale, tanto che si registrano annualmente circa 30 nuovi casi su 100.000 donne. Ciò può forse essere spiegato con l'aumento della vita media della donna in relazione al fatto che il cancro del corpo dell'utero colpisce prevalentemente una popolazione compresa fra i 55 ed i 70 anni, sebbene non sia raro riscontrare casi in donne più giovani.
Esistono anche per questa neoplasia dei fattori di rischio che ne possono favorire l'insorgenza, la cui conoscenza non deve naturalmente essere causa di allarmismo ma semplicemente spingere la donna ad un più stretto controllo clinico, qualora essa si identifichi in una delle categorie «a rischio».
Una condizione ritenuta di primaria importanza nel favorire l'insorgere del tumore al corpo uterino è senza dubbio uno squilibrio ormonale caratterizzato dalla presenza per lungo tempo di aumentati livelli di estrogeni. Nelle donne con queste alterazioni si nota talvolta un prolungamento della menopausa e fenomeni di perdita di sangue dall'utero, detti metrorragie.
Sono inoltre maggiormente esposte al rischio di insorgenza di questa malattia le donne sterili o che non hanno avuto gravidanze e sono state messe sotto accusa anche le terapie a base di estrogeni fatte per curare i disturbi insorti durante la menopausa.
Infine si nota che le pazienti affette da neoplasia uterina presentano spesso ipertensione, obesità o diabete: l'abbondanza di tessuto adiposo presente nelle ultime due malattie permetterebbe infatti la produzione nei depositi di grasso di abnormi quantità di ormoni estrogeni che provocherebbero nelle donne in menopausa proprio quella situazione di squilibrio ormonale alla quale si è già accennato.

LE POSSIBILITA' DI UNA DIAGNOSI PRECOCE
Poiché il carcinoma del corpo uterino insorge in una sede anatomica più profonda rispetto al carcinoma cervicale, risulta più difficile sospettarlo mediante il test di Papanicolaou.
L'esame citologico, così sensibile nell'evidenziare lesioni sospette a livello della cervice uterina, non si può ritenere affatto sicuro dato che non riesce ad evidenziare quasi la metà delle lesioni «pericolose» nel corpo uterino. Una tale percentuale di errore non è naturalmente accettabile e pertanto la diagnosi precoce dei tumori del corpo si avvale di altre due tecniche: l'aspirazione delle cellule della mucosa uterina con uno strumento a cannula ed il lavaggio della cavità uterina effettuato con una speciale siringa.
Non riteniamo opportuno soffermarci su queste metodiche, ma sottolineiamo che esse dovrebbero essere comunque applicate a tutte le donne considerate a «rischio» per questo tumore a causa dell'età (sopra i 55) o delle altre condizioni favorenti già citate.
Lavaggio dell'utero per la diagnosi precoce del carcinoma


UN SINTOMO IMPORTANTE DA NON TRASCURARE
Se da una parte la particolare sede anatomica del tumore ne ostacola la diagnosi precoce, esistono alcune caratteristiche biologiche favorevoli che ne consentono una completa eradicazione, prima che la neoplasia si sia diffusa nell'organismo.
Il carcinoma endometriale infatti ha una diffusione più lenta rispetto al cancro della cervice e rimane per lungo tempo localizzato all'utero senza diffondersi agli organi contigui.
Anche le linfoghiandole che drenano il territorio in cui è presente il tumore sono interessate statisticamente molto meno di quanto non lo siano in presenza di un carcinoma cervicale. Quindi il cancro del corpo dell'utero presenta un lungo periodo in cui è ancora localizzato all'organo e può essere pertanto curato con successo con la terapia chirurgica e con la radioterapia.
Risulta pertanto di fondamentale importanza conoscere quali sono i principali sintomi che lo caratterizzano, in modo da consentire un intervento medico tempestivo.
Innanzitutto sono da considerare certamente sospette le perdite biancogiallastre, maleodoranti (leucoxantorrea), le quali possono essere la spia della presenza di una massa tumorale che si sta sfaldando o nella quale sono presenti fenomeni infettivi.
Ma se la leucoxantorrea è un sintomo importante certamente ciò che deve indurre la donna ad una visita immediata è qualsiasi perdita di sangue che venga osservata dopo la menopausa.
Talvolta il ritardo nella diagnosi avviene in quanto la paziente ritiene erroneamente che le sue mestruazioni siano riprese e quindi è ben lungi dal considerare pericoloso questo sintomo.
Tale tragico equivoco non è infrequente e purtroppo determina un sensibile peggioramento della probabilità di sopravvivenza della paziente, in quanto ritarda la possibilità di cogliere il tumore in una stadio non ancora invasivo.
In conclusione dobbiamo dire che deve essere la donna stessa la prima ad effettuare una diagnosi precoce sulla base delle conoscenze di alcuni sintomi significativi, non essendo le metodiche a disposizione del medico del tutto sufficienti per cogliere con certezza il tumore nelle sue fasi iniziali.
Pertanto ripetiamo ancora una volta che ogni perdita ematica anche se di scarsa entità, che si verifichi fuori del ciclo mestruale o dopo il periodo che fa seguito alla menopausa, può essere dovuta alla presenza di un tumore del corpo dell'utero e deve essere immediatamente segnalata al medico curante.

LA PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI DELLA MAMMELLA

Affrontando il tema della prevenzione secondaria dei tumori non si può certo prescindere dal considerare il carcinoma della mammella, un tumore che, assieme al cancro della cervice uterina, trae notevoli vantaggi in termini di probabilità di guarigione dall'applicazione sistematica di una semplice ed innocua metodica di prevenzione secondaria.
Se nel cancro della cervice uterina il miglior metodo di prevenzione è costituito, come si è visto, dal Pap test, nel carcinoma della mammella risulta essere di grandissima utilità l'«autoesame del seno» o, se si preferisce, l'«autopalpazione del seno».
Nonostante l'importanza dell'autoesame del seno sia stata provata scientificamente e la metodica stessa sia di facilissima esecuzione, attualmente bisogna riconoscere che solo una esigua percentuale della popolazione femminile si è dimostrata sensibile al problema, sia per carenza di informazione da parte degli organi di stampa e televisivi sia per una sorta di fatalismo nei riguardi della malattia tumorale. Quest'ultimo modo di vedere le cose è tutt'oggi ancora prevalente, e costituisce certamente l'ostacolo maggiore da superare per chi si propone di impostare un efficace dialogo sull'argomento prevenzione, cercando di rompere questo «muro della paura» sostenuto dalla convinzione della ineluttabilità del male e dell'impotenza dei mezzi terapeutici a nostra disposizione.
Pertanto una conoscenza, sia pure elementare, delle principali caratteristiche biologiche e cliniche di questa malattia, può forse giovare a riconsiderarla in termini meno drammaticamente pessimistici e a sfatare l'erronea convinzione che il tumore della mammella debba necessariamente portare alla morte della paziente. Queste nozioni di base rendono inoltre ragione di alcune manovre che si eseguono praticando l'autoesame del seno ed aiutano la donna a considerare tale metodica con minor ansia.

INCIDENZA
L'importanza sociale del carcinoma mammario è enorme: basti pensare che ogni anno circa 22.000 donne sono colpite dalla malattia su un totale di 200.000 casi di tumore riscontrabili in entrambi i sessi. In pratica quindi più di un caso di tumore su dieci è rappresentato dal carcinoma mammario e si calcola che almeno 7 donne su 100 ne siano colpite! Questa neoplasia non è solamente la più frequente nel sesso femminile, ma anche quella con la più elevata mortalità, provocando oltre 6000 decessi annui.
Come per la maggior parte dei tumori anche per il cancro della mammella non si conosce la causa. In passato era stata posta l'attenzione sul ruolo causale di pregressi traumi alla ghiandola mammaria, ma attualmente si nega qualsiasi correlazione tra i traumi e l'insorgenza della neoplasia.
Sebbene tuttavia non venga riconosciuta alcuna causa diretta esistono delle condizioni che predispongono ad un maggior rischio di ammalarsi di questo tumore. Esse vengono chiamate appunto con il termine generico di «fattori di rischio» e l'appartenenza o meno ad uno o più di essi orienterà la donna semplicemente ad un controllo più stretto del proprio seno, senza che ciò si traduca in ingiustificate apprensioni.

FATTORI DI RISCHIO
L'età costituisce uno dei fattori di rischio perché il tumore del seno è raro sotto i 25 anni e la sua incidenza comincia ad essere significativa dai 30 anni in poi, aumentando progressivamente per il resto della vita.
Una vita feconda con comparsa della prima mestruazione in età precoce ed una menopausa tardiva rappresenta anch'essa un rischio di tumore mammario.
La gravidanza al contrario agisce come fattore protettivo, dato che aumentando il numero delle gravidanze diminuisce il rischio di ammalarsi. Si nota invece che questo tumore insorge più frequentemente nelle donne che non hanno avuto figli o che hanno avuto il primo figlio dopo i 35 anni.
La familiarità gioca un importante ruolo in quanto una donna, la cui madre o sorella abbia sviluppato la malattia, presenta un rischio aumentato 2-3 volte di ammalarsi di carcinoma mammario. Sembra inoltre che l'età di comparsa del tumore nelle figlie di donne che hanno avuto o hanno la malattia sia più precoce.
Il ruolo degli ormoni sessuali è stato oggetto di numerosi studi, che hanno confermato l'importanza degli ormoni estrogeni per la crescita delle cellule tumorali mammarie.
Queste conoscenze permettono oggi di attuare particolari interventi terapeutici, sia chirurgici sia medici, proprio contro tale bersaglio.
Infine è doveroso sottolineare come quella frequentissima patologia che va sotto il nome di «Malattia fibrocistica», della mammella non abbia alcun significato evolutivo verso la malignità. Essa viene anzi considerata come la risposta della mammella alle modificazioni ormonali che avvengono in età «preclimaterica», cioè prima del termine fisiologico del periodo fecondo della donna.

CENNI SULLO SVILUPPO DELLA MALATTIA
Il tumore della mammella rimane per lungo tempo in una fase, detta «preclinica», nella quale non ha ancora raggiunto dimensioni tali da poter essere identificato con le metodiche attualmente disponibili. Questo periodo di sviluppo occulto del tumore può variare da 2 a 8 anni.
La lentezza del tumore si spiega considerando che le cellule tumorali mammarie impiegano molto tempo per dividersi e che il nostro sistema immunitario riesce a limitare l'espansione del tumore uccidendo le cellule anomale, riconosciute come elementi estranei all'organismo. È quindi importante sottolineare che all'inizio il tumore è localizzato al seno.
In seguito le cellule che sono riuscite a sopravvivere all'attacco da parte del sistema immunitario si diffondono alle ghiandole linfatiche poste nel cavo ascellare e ad altre stazioni linfatiche più interne, dietro lo sterno. Le ghiandole linfatiche, chiamate linfonodi, costituiscono una ulteriore barriera alla diffusione tumorale, contenendo numerose cellule appartenenti al nostro sistema di difesa che si comportano da efficace filtro nei riguardi delle cellule tumorali. Soltanto le cellule che saranno state capaci di sopravvivere ai meccanismi immunologici di difesa, si diffonderanno in sedi più lontane e colonizzeranno organi vitali del nostro organismo. Tale fenomeno, chiamato «metastasi», è il vero responsabile della malignità di questa malattia.
Da questi brevi cenni sulla storia naturale del tumore del seno emerge l'estrema importanza di poter cogliere il tumore stesso in una fase precoce del suo sviluppo, quando è ancora localizzato alla ghiandola mammaria e non si è avuta la selezione di cellule maligne capaci di superare le nostre barriere difensive.
Una diagnosi precoce riconosce pertanto la sua validità nel lento evolversi della malattia e nella conseguente possibilità terapeutica di eliminare il tumore prima che questo si diffonda nell'organismo. Scoprire il tumore in tempo significa aumentare notevolmente le probabilità di guarigione definitiva!

I SINTOMI DA RICERCARE
Per la sua particolare sede anatomica il tumore del seno non è difficile da scoprire: frequentemente la donna avverte la presenza di una masserella dura nel seno, scarsamente o per nulla dolente. Il nodulo costituisce più del 90% delle manifestazioni iniziali del tumore e può essere definito come una piccola tumefazione circoscritta nell'ambito della mammella.
Bisogna però ricordare che non tutti i noduli corrispondono ad un carcinoma, dato che esistono numerose forme di alterazioni del tutto benigne del seno che si manifestano anch'esse sotto forma di noduli: ad esempio la comune cisti, o formazioni solide benigne, dette adenomi. Non bisogna perciò spaventarsi senza ragione, ma semplicemente chiedere al medico di precisare la natura di una eventuale tumefazione mammaria.
Un altro segno importante da ricercare è costituito da retrazioni, infossamenti della pelle e del capezzolo che, come vedremo, possono essere meglio evidenziati con particolari manovre durante l'autoesame del seno.
Se la zona dell'areola presenta incrostazioni o piccole ulcerazioni è necessario rivolgersi subito al proprio medico ed analogamente spostamenti, retrazioni o secrezioni di sangue dal capezzolo sono segni che devono indurre la donna a farsi visitare senza indugio dal curante.

L'AUTOESAME DEL SENO
Come abbiamo più volte sottolineato il momento della diagnosi è fondamentale e in un certo senso si può considerare, per quanto riguarda il carcinoma mammario, parte integrante della terapia in quanto la precoce scoperta del tumore si traduce in maggiori possibilità di cura.
Infatti le donne in cui è stata scoperta precocemente una lesione maligna del seno presentano percentuali di sopravvivenza notevolmente più alte rispetto alle donne che hanno avuto una diagnosi tardiva.
Molte tra le donne che hanno vinto la loro battaglia contro la malattia devono questo successo all'autoesame periodico del seno, che attualmente è l'arma maggiormente efficace a nostra disposizione, superiore persino ai diversi trattamenti disponibili.
L'autoesame del seno si deve effettuare una volta al mese, ed è consigliato a tutte le donne che abbiano superato i 25 anni.
Il periodo migliore è immediatamente dopo la mestruazione: mentre infatti nella fase che precede quella mestruale si verifica un aumento delle dimensioni e della densità della ghiandola mammaria, causato dalle variazioni cicliche ormonali, nella settimana seguente la mestruazione la mammella è in genere meno turgida e meglio si presta ad essere esaminata. Nelle donne in menopausa o durante la gravidanza sarà sufficiente scegliere un giorno del mese facilmente ricordabile e ripetere l'esame a distanza di 30 giorni.
All'inizio ci potrà essere qualche difficoltà nel distinguere nodulazioni realmente esistenti da addensamenti o variazioni di struttura della ghiandola del tutto innocue, ma ripetendo mensilmente l'esame si imparerà gradualmente a percepire alterazioni significative la cui natura dovrà in seguito essere accertata.
Possiamo distinguere per comodità tre tempi: sotto la doccia; in piedi davanti allo specchio; distese sul letto in posizione supina (cioè con la schiena rivolta verso il letto).

1) Sotto la doccia: palpazione
Si consiglia di iniziare l'esame sotto la doccia perché in tal modo le dita potranno meglio scivolare sulla pelle bagnata e la palpazione sarà più agevole. Si esamini la mammella destra appoggiandovi la mano sinistra, dopo aver sollevato il braccio destro e messo la mano dietro la nuca. Si eseguano poi movimenti opposti per esaminare l'altra. Dovranno essere evidenziati eventuali noduli, duri o molli, vale a dire ogni zona che al tatto sembri avere una consistenza diversa dal resto della ghiandola e rimanga, per così dire, indipendente dal rimanente tessuto mammario.
La palpazione andrà fatta con la mano leggermente piegata e le dita estese e ravvicinate, procedendo in senso orario dalla periferia verso il capezzolo con piccoli movimenti circolari.
Anche il capezzolo dovrà essere esaminato in tal modo e successivamente spremuto dolcemente fra due dita per accertare la presenza di secrezioni, particolarmente sospette nel caso siano francamente ematiche.

2) Davanti allo specchio: ispezione
Dapprima si pongono le mani sui fianchi e si osserva attentamente se ci sono variazioni della simmetria delle mammelle o sporgenze irregolari del profilo della pelle, infossamenti o raggrinzimenti sia a livello della cute del seno, sia nella zona dell'areola e del capezzolo.
Poi si sollevano entrambe le braccia, per poter osservare le caratteristiche prima descritte, che potrebbero essere poco evidenti con le braccia abbassate; in particolare una deviazione del capezzolo si apprezza meglio con questa manovra.

3) Distese sul letto
Ci si pone in posizione distesa con un cuscino posto sotto la spalla destra e la mano destra sotto la nuca. Con la mano sinistra si esamina nuovamente tutta la mammella destra, secondo le modalità consigliate al punto 1, alla ricerca di quei segni che abbiamo visto essere significativi, vale a dire qualsiasi indurimento isolato, gonfiore, infossamento o ruga della cute mammaria.
Identica manovra va eseguita naturalmente anche per la mammella sinistra.
In conclusione possiamo ribadire ancora una volta l'estrema importanza dell'autoesame del seno nella prevenzione dei tumori della mammella, e sottolineare la necessità che ogni donna impari fin da ragazza questa metodica, con la serenità di chi deve avere fiducia nei confronti delle possibilità di cura di questa malattia, la quale, contrariamente alla definizione che le viene comunemente attribuita, non è per nulla un male incurabile, purché scoperta precocemente.

Per una diagnosi precoce dei tumori del seno seguire le istruzioni della tabella che segue:
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¦             CHE COSA FARE IN ASSENZA DI SINTOMI               ¦
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¦  Dai 20 ai 40 anni           ¦ Autoesame mensile del seno     ¦
¦                              ¦ Esame clinico almeno triennale ¦
¦                                                               ¦
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¦  Dai 40 ai 50 anni           ¦ Autoesame mensile del seno     ¦
¦                              ¦ Esame clinico annuale          ¦
¦                              ¦ Un esame mammografico          ¦
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¦  Dopo i 50 anni              ¦ Autoesame mensile del seno     ¦
¦                              ¦ Esame clinico annuale          ¦
¦                              ¦ Esame mammografico ogni 2 anni ¦
+---------------------------------------------------------------¦
¦  In presenza di qualsiasi sintomo alla mammella, rivolgetevi  ¦
¦  al medico.                                                   ¦
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¦                   NATURA DEI NODULI MAMMARI                    ¦
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¦  Cisti = 47%                                                   ¦
¦                                                                ¦
¦  Tumori banigni = 35%                                          ¦
¦                                                                ¦
¦  Tumori maligni = 18%                                          ¦
¦                                                                ¦
¦  Un nodulo al seno ha solo il 18% di probabilità               ¦
¦  di essere maligno, nelle donne fino a 55 anni.                ¦
¦  Dopo questa età, tale probabilità aumenta e                   ¦
¦  pertanto ogni nodulo, specie se di recente com-               ¦
¦  parsa, deve essere valutato attentamente dalla                ¦
¦  donna e dal medico.                                           ¦
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LE STRATEGIE TERAPEUTICHE PER COMBATTERE IL TUMORE DELLA MAMMELLA

La grande importanza sociale del carcinoma mammario giustifica gli sforzi che in tutto il mondo stanno compiendo da molto tempo migliaia di studiosi per aumentare la percentuale di sopravvivenza delle pazienti.
Questo imponente impiego di mezzi e uomini ha realmente portato negli ultimi anni a programmare strategie terapeutiche efficaci e nel contempo a migliorare anche la qualità di vita della donna, mediante la riduzione degli effetti indesiderati delle diverse terapie.
Le principali armi di cui il medico dispone sono essenzialmente la terapia chirurgica, la radioterapia e la chemioterapia.

LA TERAPIA CHIRURGICA
L'asportazione chirurgica della massa tumorale rappresenta il primo e necessario intervento terapeutico a cui la donna viene sottoposta. In questo modo si elimina un gran numero di cellule tumorali le quali potrebbero, se lasciate in sede, diffondersi nell'organismo tramite la circolazione sanguigna o quella linfatica e colonizzare organi vitali, dando luogo al fenomeno chiamato metastatizzazione.
La paura della mutilazione chirurgica rappresenta tutt'oggi uno dei principali ostacoli al raggiungimento di una diagnosi precoce, dato che molte donne preferiscono non rivelare al medico l'esistenza di un nodulo al seno proprio in previsione di un eventuale intervento radicale. L'asportazione della mammella, detta mastectomia, è vista spesso come un evento altamente traumatizzante, superiore persino alla causa che lo ha reso necessario. Essa costituisce per molte pazienti un irreparabile danno alla loro femminilità, creando spesso problemi psicologici non indifferenti nei rapporti con i familiari.
Tuttavia, proprio in considerazione di questi problemi e alla luce di nuove conoscenze biologiche sulla malattia negli ultimi anni si è cercato di trovare soluzioni chirurgiche meno aggressive, in particolare in presenza di piccoli noduli tumorali. Si è infatti visto che, in determinati casi, interventi di resezione parziale, costituiti dall'asportazione di un intero quadrante della mammella, forniscono dati sulla sopravvivenza analoghi a quelli ottenuti mediante l'asportazione dell'intera mammella, con il vantaggio di un buon risultato estetico e di notevolissimi effetti positivi dal lato psicologico. La donna rifiuta infatti la mutilazione del seno, ma accetta molto meglio un intervento che conservi parzialmente intatta questa parte anatomica così importante per la sua femminilità.
A compimento di quanto detto dobbiamo segnalare che questo tipo di chirurgia, detta conservativa, richiede poi la somministrazione di radiazioni terapeutiche sulla mammella operata. Tali radiazioni hanno lo scopo di uccidere eventuali cellule tumorali sfuggite all'opera del chirurgo.
Da questi cenni sulla attuale strategia chirurgica del carcinoma mammario si può comprendere come la mutilazione totale non debba più essere considerata uno spettro che non si può evitare, dato che esistono interventi che, pur conservando appieno la loro validità terapeutica, lasciano l'integrità anatomica della mammella.
Non c'è pertanto più motivo di ritardare la diagnosi precoce di noduli sospetti per timore della mutilazione chirurgica del seno: anzi, quanto più precoce è la diagnosi, tanto più piccolo è il nodulo, e quindi aumentano le probabilità di poter essere curate con un intervento non demolitivo.

LA CHEMIOTERAPIA
Con questo termine si intende un tipo di trattamento basato sull'uso di sostanze chimiche rivolte contro le cellule tumorali. Ma mentre nelle comuni terapie antibiotiche delle infezioni si possono usare farmaci specificamente attivi contro i batteri, sfruttandone alcune sostanziali differenze rispetto alle cellule del nostro organismo, nel campo della terapia farmacologica contro i tumori questo non è attuabile.
Infatti il tumore origina da una cellula del nostro stesso organismo, la quale, per ragioni ancora sconosciute, inizia a moltiplicarsi indefinitamente dopo essersi svincolata da quei normali controlli sulla moltiplicazione cellulare che normalmente ci proteggono da tale proliferazione anomala. Si cerca allora di sfruttare la caratteristica peculiare della cellula tumorale, cioè quella di moltiplicarsi continuamente, mediante l'uso di farmaci che bloccano selettivamente le cellule in attiva proliferazione. Poiché tali farmaci non riescono però a distinguere tra cellule tumorali e cellule normalmente proliferanti, vengono interessati dalla loro azione anche i normali tessuti a rapido rinnovamento come il midollo osseo, i capelli e le mucose dell'apparato digerente.
Nonostante queste limitazioni la chemioterapia rimane oggi uno dei capisaldi della terapia antitumorale e viene sempre più associata alla chirurgia e alla radioterapia (terapie integrate).
Un cenno a parte va fatto anche all'ormonoterapia, basata sul presupposto che alcuni carcinomi mammari risentono per la loro crescita dell'azione degli ormoni steroidei, nonché al tentativo di potenziare la risposta immunologica del nostro organismo contro cellule riconosciute come «estranee», mediante l'inoculazione di agenti naturali che stimolano il sistema immunitario. Quest'ultimo metodo di terapia, detto immunoterapia, non ha in verità fornito sino ad oggi risultati soddisfacenti e deve essere tenuto in secondo ordine rispetto alle terapie farmacologiche convenzionali le quali, al contrario, sono sempre più perfezionate ed hanno una sicura efficacia nell'aggredire e distruggere le cellule tumorali.

LA RADIOTERAPIA
La radioterapia si basa sull'impiego di radiazioni ionizzanti capaci di provocare nella cellula bersaglio alterazioni sia a livello del nucleo, dove sono posti i cromosomi, sia a livello dell'involucro esterno, chiamato membrana cellulare. Questi eventi danneggiano in maniera irreparabile le funzioni vitali della cellula portandola rapidamente alla morte.
Sebbene anche le radiazioni non siano in grado di distinguere tra cellule normali e cellule tumorali, il loro impiego è giustificato dal fatto che esse danneggiano maggiormente i tessuti a rapida proliferazione, quali appunto i tessuti tumorali.
La radioterapia viene oggi usata raramente come trattamento unico ma ha in genere un valido ruolo integrativo agli altri trattamenti soprammenzionati.

LA PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI AL COLON-RETTO

I tumori del grosso intestino presentano una frequenza discretamente elevata in tutte le società occidentali e quindi anche nel nostro paese, dove ogni anno vengono diagnosticati 25.000 nuovi casi che portano a morte più di 15.000 persone.
Essi rappresentano pertanto, insieme ai tumori del polmone e del seno, la malattia neoplastica più importante sia come incidenza sia come mortalità.
Statisticamente si osserva una leggera prevalenza per il sesso femminile e un aumento del rischio di ammalarsi di questa malattia dopo i 40 anni, con un picco di incidenza che cresce considerevolmente dopo i 60 anni.
Il tumore del colon, contrariamente al carcinoma dello stomaco che è in regressione, risulta essere in continuo aumento negli ultimi anni e ciò è paradossalmente correlato al miglioramento della qualità di vita che si riflette in un tipo di alimentazione «ricca», assai dannosa per il grosso intestino. Con questo termine intendiamo mettere in risalto le tipiche abitudini alimentari dei paesi civilizzati ad alto tenore di vita, costituite dall'assunzione di cibi carnei o grassi che non facilitano la motilità del tubo intestinale consentendo l'accumulo all'interno dell'intestino stesso di sostanze cancerogene, capaci cioè di favorire l'insorgenza di tumori.
All'opposto nei paesi meno sviluppati il carcinoma del colon è molto meno frequente, proprio per il tipo diverso di alimentazione basato su un minor apporto di cibi carnei e su un grande consumo di fibre vegetali. Queste ultime stimolano il movimento delle anse intestinali ed impediscono un lungo contatto tra l'agente cancerogeno e la parete intestinale: le sostanze tossiche potenzialmente pericolose non hanno, per così dire, il tempo di manifestare il loro effetto dannoso sulle cellule che tappezzano la superficie interna del nostro intestino.
Da queste premesse si comprende come la prevenzione primaria del cancro del colon consista solamente nell'evitare i rischi derivanti da una alimentazione ricca di proteine e grassi e povera di fibre vegetali.

L'IMPORTANZA DI UNA DIAGNOSI PRECOCE

Una campagna di prevenzione dei tumori del colon dovrebbe pertanto essere basata sulla necessità di cambiare radicalmente le nostre abitudini alimentari.
Bisogna ammettere tuttavia che l'efficacia di una tale persuasione sarebbe assai scarsa dal momento che pochi individui accetterebbero di buon grado di rinunciare ai piaceri della buona tavola a cui sono abituati ormai da anni per timore di ammalarsi di un tumore del colon.
Inoltre l'osservanza troppo stretta dei consigli dietetici preventivi potrebbe causare a sua volta squilibri metabolici addirittura dannosi. Si pensi ad esempio come un individuo che eviti totalmente di assumere carne o grassi per prevenire il carcinoma del grosso intestino possa andare incontro a problemi dovuti alla carenza di proteine nel suo organismo.
Non è quindi molto facile proporre una prevenzione primaria di questi tumori, nonostante gli studi epidemiologici abbiano dimostrato la sicura responsabilità di alcuni fattori nel determinismo della malattia.
Risulta al contrario doveroso porre l'attenzione sulle possibilità di evidenziare precocissimi segni che ci indicano la presenza di una lesione tumorale agli stadi iniziali del suo sviluppo, quando è ancora possibile intervenire con buone probabilità di successo.
Ci si può convincere di quanto sia importante scoprire al più presto le avvisaglie di questa malattia paragonando la percentuale di guarigione straordinariamente alta (90%), se la diagnosi è posta precocemente, con quella assai bassa (35%) allorché la malattia viene scoperta in fase già avanzata.
La mancanza di una diagnosi precoce, pertanto, influisce pesantemente in senso negativo sulle possibilità di guarigione.
Esame digitale per la diagnosi del tumore al colon retto

I SINTOMI DA NON TRASCURARE

Il notevole ritardo con cui troppo spesso viene scoperta questa neoplasia deriva dalla mancanza di informazione del pubblico sui sintomi importanti da ricercare e da porre subito all'attenzione del medico.
Inoltre la maggior parte di questi sintomi, essendo comune ad un gran numero di affezioni dell'apparato digerente, non viene considerata significativa da parte del paziente, che ritarda i necessari accertamenti poiché non è per nulla preoccupato della sua salute.

DIARREA E STITICHEZZA
Uno dei sintomi a cui si deve porre maggiore attenzione è rappresentato dai disordini dell'alvo. Con questo termine si intende la presenza di stitichezza (stipsi), di diarrea o di entrambe, specie se comparse di recente in un individuo che non aveva usualmente problemi particolari di evacuazione. È noto che la diarrea può comparire in corso di numerose malattie infiammatorie dell'intestino ed anche nella comune «indigestione», mentre la stitichezza talvolta è causata dal cambiamento di clima e di abitudini alimentari o semplicemente da fattori nervosi. Il ritmo di vita e lo «stress» di tutti i giorni rendono ormai la stitichezza una compagna inseparabile per molte persone costrette ad una alimentazione basata su pasti frettolosi ed incompleti.
Quindi ciò che deve indurre ad un controllo medico non è tanto la presenza in assoluto di stipsi o diarrea, ma, come detto sopra, la comparsa improvvisa, inspiegabile di una sintomatologia che non era presente in precedenza e che non sembra essere in rapporto con fattori nervosi o con l'ingestione di cibi particolari.
Ad ogni modo il sintomo più significativo da porre all'attenzione del medico è senz'altro rappresentato dall'alternanza di stipsi e diarrea, la cui causa deve essere immediatamente ricercata con ulteriori accertamenti.

LA PRESENZA DI SANGUE NELLE FECI
La comparsa di sangue nelle feci costituisce un sintomo ancora più importante in quanto esso è presente solo raramente in altre situazioni morbose benigne dell'intestino. Al contrario il riscontro di sangue nelle feci si associa alla presenza di un tumore maligno del grosso intestino circa nel 75% dei casi.
Talvolta tale sintomatologia è presente in individui con emorroidi e viene erroneamente trascurata: questo è un grave errore perché anche in presenza di una comune patologia emorroidaria si deve comunque ricorrere all'aiuto del medico se si nota sangue nelle feci. Sarà poi compito di quest'ultimo stabilire con la visita o con eventuali esami strumentali l'origine della perdita ematica.
Infine un breve cenno merita un sintomo che in questo tipo di tumori ha caratteristiche più sfumate: il dolore. Sovente viene avvertito come una sensazione fastidiosa di peso, di ingombro più che un vero dolore, ma in genere esso manca nelle fasi iniziali di sviluppo della malattia.
Pertanto l'assenza di una netta dolorabilità all'addome non deve assolutamente ritardare, qualora siano presenti gli altri sintomi significativi soprammenzionati, una opportuna visita di controllo.

LE LESIONI CHE PRECEDONO L'INSORGENZA DEL TUMORE E I MEZZI PER SCOPRIRLE PRECOCEMENTE
Numerosi studi hanno ormai accertato che il tumore del colon non nasce direttamente dalle normali cellule dell'intestino, ma origina sempre da una precedente lesione benigna chiamata adenoma. Nell'adenoma è stato infatti possibile documentare tutte le tappe intermedie del passaggio obbligato tumore benigno - tumore maligno. Questo passaggio avviene però assai lentamente, in un tempo che può essere valutato mediamente intorno a 10 anni, mediante la progressiva comparsa di alterazioni sempre più marcate a carico delle cellule (displasie), che daranno poi origine alla trasformazione maligna.

LA COLONSCOPIA
Lo strumento più efficace a tale scopo è senza dubbio rappresentato dalla colonscopia.
Con questa tecnica si introduce per via rettale un apparecchio, chiamato genericamente endoscopio e nel caso specifico colonoscopio, costituito da un tubo flessibile contenente speciali fibre ottiche che consentono all'operatore di osservare direttamente l'interno del grosso intestino. È possibile inoltre asportare durante l'indagine endoscopica eventuali lesioni sospette che saranno poi esaminate al microscopio da un patologo.
Nonostante la metodica presenti in mani esperte grande affidabilità, non può però essere impiegata per uno «screening» di massa, cioè per esaminare tutta la popolazione: l'esame endoscopico richiede infatti un certo impegno sia da parte del paziente che dell'operatore, cosa che ne riduce l'accettabilità e ne aumenta i costi. Inoltre se si estendesse tale metodo ad un gran numero di individui il rischio di incidenti nel corso di endoscopia, che è molto basso, potrebbe non essere più trascurabile rispetto ai benefici che produce.
Per questi motivi attualmente si ritiene giustificato l'impiego dell'endoscopia solo in quei soggetti che devono essere ritenuti «a rischio» per l'insorgenza di un tumore del colon, in quanto presentano condizioni «pre-cancerose» che necessitano di uno strettissimo controllo medico, data la possibilità di una evoluzione maligna in breve tempo.
Naturalmente è esclusivo compito del medico stabilire tempi e modi di questa continua sorveglianza delle condizioni cliniche, in rapporto alle diverse caratteristiche biologiche delle lesioni presenti.
Solo a titolo informativo segnaliamo che sono considerati soggetti ad alto rischio coloro che hanno polipi adenomatosi, i pazienti affetti da colite ulcerosa o morbo di Crohn, nonché i pazienti operati per polipi o per carcinoma del grosso intestino.

LA RICERCA DEL SANGUE OCCULTO NELLE FECI
Esiste un semplice ed innocuo metodo di prevenzione secondaria che può essere benissimo applicato anche al resto della popolazione di età superiore a 40-45 anni (dato che prima dei 40 anni l'incidenza delle neoplasie del colon è molto bassa), non considerata «a rischio».
Si tratta del metodo della ricerca del sangue occulto nelle feci che si basa su una particolare reazione della sostanza impiegata al contatto con tracce di un componente del sangue, l'emoglobina, nel campione di feci.
È intuitivo come tale test sia pratico, in quanto consente di eseguire il prelievo del campione a domicilio del paziente, bene accettato perché rapido e naturalmente del tutto indolore, nonché ripetibile anche molte volte a distanza di tempo.
Se eseguito correttamente è un test affidabile che può svelare appunto la presenza di tracce di sangue nelle feci ed orientare il medico a sottoporre il paziente ad una colonscopia di accertamento, dopo aver effettuato un esame clinico con esplorazione rettale.
L'unico inconveniente per coloro che si devono sottoporre al test è la necessità di fare una dieta priva di carne, frutta e verdura, due giorni almeno prima del prelievo di feci. Si tratta di una rinuncia in genere ben accettata da tutti.
La cosa importante da sottolineare è che i risultati sino ad oggi hanno dimostrato come la ricerca del sangue occulto nelle feci rappresenti un buon sistema per evidenziare lesioni precancerose o neoplasie ancora a limitatissimo sviluppo, e possa pertanto essere ritenuto un efficace mezzo di prevenzione di massa dei tumori del grosso intestino.